Omelia Don Carlo 4 dicembre 2019


Omelia 04 dicembre 2019

“In quel giorno Dio preparerà un banchetto”.

È la promessa del profeta Isaia al popolo ebraico. Dio porta nel mondo la festa,
non per l’aldilà, ma una festa che comincia adesso. Questa è la promessa ebraica e dell’annuncio cristiano.
Come faccio a sapere se questa promessa è vera o è “tarocca”?Chi può dirlo, se non chi partecipa alla festa, chi comincia a festeggiare? Come quella folla che mangia il pane e il pesce.

“Tutti mangiarono a sazietà”.
Sperimentano, cioè, la soddisfazione del loro desiderio. Il Vangelo chiama la soddisfazione del desiderio “miracolo”. È una soddisfazione naturalmente impossibile che ti costringe a pensare a Dio.
E tu di quali miracoli fai esperienza nella tua vita?
Perché la fede inizia sempre con un miracolo, da un entusiasmo, che, però, poi è un entusiasmo che si spegne. E perché si spegne? Cos’è che manca per far durare l’entusiasmo?
Dice che le folle e i discepoli portarono via sette sporte di pezzi avanzati: portan via le tracce del miracolo per farne memoria per tutta la vita. Perché l’entusiasmo finisce perché non si fa memoria del miracolo. Perché nel miracolo c’è tutto. In un miracolo c’è Dio, Dio basta, di miracoli ne basta uno, due già distraggono. Infatti, Paolo che è venuto dopo, quando ha intuito questo, chiamava il miracolo ἐφάπαξ (efapax): una volta per tutte, un fatto definitivo, in cui c’è tutto, non c’è bisogno di altro. Lo chiama anche “katexochèn”: eccezionale, debordante, definitivo.

Dopo che l’hai visto, non ti deve accadere altro, solo accadere che tu ne fai memoria: come dice il vecchio Simeone quando ce l’ha fra le braccia: “Basta! I miei occhi hanno visto, puoi prendere il tuo servo”; come san Paolo: “Nessuno mi crei più fastidi, ho solo da andare in fondo alla sapienza di Cristo” o come il monaco del IX secolo ai tempi di Carlo Magno, Laurentius, che disse ai soldati di Carlo Magno: “Lasciatemi in pace, quando ho incontrato Cristo ho capito che tutta la vita dovevo trascorrerla alla ricerca di quello mi è accaduto – a prenderne coscienza – e il Suo ricordo mi riempie ancora di silenzio – non mi serve altro”.
Senza il lavoro della memoria, secondo me c’è solo una fede da infartuati, gente affannata, tutta sincopata, a colpi e spintoni: “Deve riaccadere! Deve riaccadere!”, ma se ti “deve riaccadere” non ti è mai accaduto manco la prima volta, perché quello che ti è accaduto non è “accaduto”. Se è accaduto non deve riaccadere più niente, se non che tu vivi ogni istante di quella pienezza.
Solo in questo tipo di fede c’è pace e libertà.